Volge ormai al termine la settimana "da solo". Speravo di scialarmela alla grande e invece non sono nemmeno andato al cinema (a vedere che, poi? Erripotter contro Papi o Vacanze sulla A10?). Lavoro, doccia, cena, Belpais e ALIBI. Tutto qui. E allora oggi mi sono comprato il gelato. Ma temo che non sarà all'altezza delle aspettative. Ho voglia di sedermi su una poltrona di legno con un morbido materassino bianco a vedere il Mediterraneo e tuffarmi nell'epopea di Giuseppe e i suoi fratelli,
quando Kurigalzu, il Cassita, signore delle quattro regioni, re di Sumer e di Akkad, sommamente gradito al cuore di Bel-Mardug, regnava a Babele, sovrano severo e fastoso, con una barba dai riccioli divisi con tanta arte da assomigliare a un reparto di ben addestrati scudieri; quando a Tebe, nella parte inferiore del paese, che Giuseppe soleva chiamare “Mízraim’” o anche “Keme, il nero”, la santità del Dio buono, detto “Amun-è-contento”, il terzo di questo nome, vero figlio del Sole, splendeva nell’orizzonte del suo palazzo all’estasi adorante dei figli della polvere; quando Assur cresceva per la forza dei suoi dèi, e sulla grande strada litoranea da Gaza fino ai valichi della montagna dei Cedri carovane reali andavano e venivano fra le corti del paese dei fiumi e quella di Faraone, recando, quali tributi di cortesia, carichi di lapislazzuli e di oro bollato; quando nelle città degli Amorrei, a BethSan, a Ajalon, a Ta’anek, a Urusalim, si adorava Astarte e a Sichem e a Beth-Lahama risuonava per sette giorni il lamento sul “Figlio Vero”, sul “Dilaniato”; e a Ghebal, la Città del Libro, veniva adorato El, il dio che non aveva bisogno né di culto né di templi...Per fuggire via da te Brianza velenosa (e insopportabilmente afosa).
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